Da poco è terminato il un altro anno di servizio civile in sezione, come non ripensare all’anno che ho passato con i miei 433,80 euro al mese e come mi è servito nel mio percorso di per comprendere la mia SM.

Una di quelle cose che ti cambiano per sempre, decidere di fare un anno di servizio civile in AISM, è stata una scelta inconsapevolmente giusta, forse imprudente, due anni dopo aver avuto una diagnosi di SM, una malattia che non mi lascerà mai più.
Avevo capito, in quei giorni, che c’era qualcosa che ancora non capivo di me e della mia nuova condizione.
Avevo passato una vita a cercare di diventare un tipo di persona che non poteva più essere tale, che la malattia non mi avrebbe più permesso di esessere.
Dopo mesi passati a riflettere su di me, sulla malattia e sulla mia gioventù che sentivo essere stata troncata, ho deciso che l’unico modo per capire come affrontare questa situazione era vedere come era stata vissuta da altri.
Mi sono detto, ci sono 65 mila persone in Italia che più o meno, ci convivono, posso farlo anch’io.
Avevo 28 anni, dalla fine della scuola avevo sempre lavorato, avevo sempre fatto il cuoco, ai miei occhi il servizio civile era qualcosa da ragazzini, o per chi voleva un po’ temporeggiare prima di entrare nel mondo del lavoro, non che lo disprezzassi, ma io avevo da fare altro, dovevo costruirmi un futuro.
Ed ora quel mio nuovo futuro passava proprio da lì, dal servizio civile, mi sono detto, mi prendo 1 anno per andare con calma per avere meno impegni, ma mi stavo sbagliando.
Appena sono arrivato mi sono fatto trascinare un pezzo alla volta finché non sono stato totalmente coinvolto, c’era tanto da fare e io potevo farlo, stavo lavorando per me e su di me attraverso quello che facevo per gli altri.
E’ stato un fiume in piena che mi ha trascinato fino a qui.
Ho conosciuto una quantità di persone con la mia stessa malattia, ho compreso il significato della frase “i 1000 volti della SM”.
Non c’é un metodo, una prassi, un percorso per accettare la propria malattia, ci sono tante persone che la vivono in modo diverso, perché la malattia stessa é diversa da persona a persona.
C’é chi dopo anni ancora non la manda giù, chi la vive con serena accettazione e chi purtroppo ne é stato sconfitto, chi ha smesso di lottare, sconfitto da una stronza che non ti lascia mai stare e che vorresti cacciare dalla tua vita e far finta di niente, ma questo è impossibile, perché tu e lei siete la stessa cosa e per me ignorare una parte di noi non è mai una buona cosa.